L’abolizione de’ gesuiti nelle Spagne era un preludio di quella, che dovea presto accadere in Sicilia. Il rispettoso filiale ossequio del nostro re Ferdinando III verso lo augusto suo genitore ne dava bastanti indizî, non essendo verisimile che il re Cattolico avesse tollerato che stessero impunemente ne’ regni del figliuolo coloro, ch’ei avea discacciati da’ suoi, e che riputava come suoi nemici, e della real casa di Borbone. Quantunque eglino dovessero aspettarsi una simile disavventura, nondimeno, o perchè sogliono sempre gli uomini immaginarsi lontano quel male che non vorrebbono, o perchè erano lusingati da’ ministri della corte, se ne stavano tranquilli, nè pensavano a profittare del tempo, per assettare i fatti loro. Nel mese di ottobre di questo anno venne da Madrid la insinuazione, che si discacciassero da’ nostri regni; ma siccome il Vesuvio vomitava allora fiumi di fuoco, il marchese Tanucci, che stava alla testa degli affari, sospese di fare questa novità, che nel popolo avrebbe potuto apportare qualche commozione; ed aspettò, che il monte cessasse d’inferocire. Mancato lo incendio nel mese di novembre, spedì in Sicilia delle piccole navi, chiamate pipare, senza che se ne sapesse il destino, e intanto a’ 24 di esso mese discacciò i gesuiti, ch’erano nelle provincie di Napoli, e li mandò nello stato pontifizio.
Lo arrivo delle barche napolitane in Palermo non arrecò per allora dello allarme; fu creduto, che fossero venute per caricar [613] frumenti per commissione della corte.
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