In capo a pochi giorni giunsero tre sciabecchi, che portarono de’ dispacci al marchese Fogliani, che restarono tuttavia occulti, e si continuò a credere, che non avessero altro oggetto, che la provista de’ grani. Una sorda voce si cominciò di poi a spargere, che i gesuiti sarebbono stati espulsi. Eglino stessi già cominciavano a temerne; ma osservando che non si dava ancora verun passo, e lusingati da quanto udivano dal vicerè, che non sapea o non potea rivelare il segreto, erano ritornati all’antica tranquillità; quando a’ 27 dello stesso mese arrivò una feluga, che portò uno uffiziale, il quale recò al vicerè i dispacci, e le istruzioni reali. Cessarono allora le lusinghe, e fu certo il loro esilio. Non lasciarono eglino di fare i loro ricorsi al governo, implorando almeno che si dasse un più lungo spazio di tempo alla loro partenza. I memoriali presentati furono rimessi dal marchese Fogliani (2459) al consultore Domenico Salamone, che giusta le istruzioni ricevute dalla segretaria di stato non fu in grado di compiacerli.
Cinque erano le case di Palermo, nelle quali abitavano i gesuiti (2460), e perciò furono scelti cinque ministri per espellerli, i quali la notte del 29 di esso mese, accompagnati da truppa, assaltarono le medesime, ciascheduno quella, a cui era stato assegnato, e apposte le guardie alle porte, chiamarono in un luogo pubblico i padri, che vi abitavano, e lessero loro il dispaccio reale, per cui erano condannati a sfrattare dal regno di Sicilia (2461). Restarono quella notte, e per tutto il giorno seguente 30 del mese carcerati.
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