Questo tempo era necessario per dare le giuste provvidenze per i laici, i novizî, gli accademici, e gli ammalati, e per prendere anche conto de’ loro averi, stabili, e mobili (2462). La sera poi del dì 30 suddetto furono quelli che doveano partire, e non aveano legittimo impedimento, trasportati in carrozze, o in portantine alla Quinta Casa vicino al porto.
      Eseguito il real ordine, comparve a’ 2 di dicembre esposto in tutti i quartieri della città un bando viceregio, con cui trascrivendosi la carta reale della espulsione de’ gesuiti, si ordinava la pronta ubbidienza a quanto il re prescrivea. Gli stessi ordini furono spediti per tutto il regno, incaricandosi i capitani giustizieri, i segreti, e i fiscali delle città demaniali, acciocchè, valendosi di truppe regolate, discacciassero i gesuiti da’ loro collegî, e mandassero con sicura scorta quelli, ch’erano nelle due valli di Noto, e di Demona a Messina, dove si erano date le provvidenze per farli imbarcare, e quelli della valle di Mazara in Palermo. Si trattennero dunque i nostri alquanti giorni alla Quinta Casa, aspettando i loro confratelli della valle di Mazara, co’ quali doveano partire. Stiedero ivi chiusi, come prigionieri di guerra, guardati dalle sentinelle; ne alcuno potea penetrarvi, o arrecarvi roba, senza la previa licenza sottoscritta dal ministro destinato alla custodia di essi.
      Intanto che i gesuiti, che trovavansi ivi [614] confinati, aspettavano i loro socî per partire, i ministri incaricati della loro espulsione s’impossessarono delle librerie, dei musei, degli argenti, delle gioie, e de’ sacri arredi, che per allora chiusero nelle stanze con sicuri chiavistelli, a’ quali apposero i reali sigilli.