Due erano le sorgenti perenni della povertà di esso magistrato, il grano, e la carne. Il primo, comechè la messe fosse caduta abbondante, qual si desiderava, pur nondimeno per la estrazione, che se n’era fatta, e se ne facea alla giornata, vendevasi a caro prezzo, e il senato, che non se n’era provveduto a tempo, era stato costretto per i bisogni della città a comprarlo per lo meno ad once tre la salma, e a perdervi tarini otto per salma (2473) per uno malinteso sistema di mantenere sempre lo stesso peso (2474). [619] L’altra scarseggiava per diverse cagioni (2475), e per lo stesso sistema si vendea meno di quel, che si comprava. Permise egli, per darsi sollievo all’afflitta città, che si tenesse il consiglio nella casa senatoria, dove fossero chiamati i rispettivi ceti della medesima, per suggerire i mezzi da ristorarla. Varî progetti furono fatti, ma non accettati. Si volea dagli artisti, e da qualche regolare ancora, che si vietasse ogni novità; ma senza innovare, non era possibile che la cassa del senato sussistesse. Restò adunque ogni cosa sospesa, ed il senato continuò a far debiti.
Queste circostanze del ridetto magistrato diedero campo al mentovato vicerè di dare nuove riprove del suo disinteresse. Essendosi sgravata la marchesa Soragna sua nipote di una bambina nel mese di aprile 1769, pregò egli il senato a tenerla al sacro fonte; ma come considerò lo stato, in cui era l’azienda della città, vietò alla partorita, che ricevesse i ricchi doni, che sapea di essere stati preparati, e alla sua servitù di accettare alcuna mancia; anzi fu così sollecito, che non si spendesse neppure un obolo da quel magistrato, che per fino volle egli regalare la levatrice, dichiarandosi, che non cercava, se non il solo onore di essere favorito.
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Soragna
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