Fu riproposto tutto ciò, che si era trattato nell’assemblea de’ 18 di marzo, e fu risoluto unanimamente d’imporsi la colletta sulle finestre, e non bastando, di accrescersi un grano per rotolo la neve; sopra il vino poi fu stabilito di apporvi il dazio di tarì dodici per botte, con che fosse ad arbitrio del senato, ogni volta che conoscesse che questa somma non bastasse a risarcire i danni, che annualmente soffre, di raddoppiarlo a tarini ventiquattro per botte (2485). Fu subito riscontrato il marchese Fogliani dal pretore del felice esito, che avea avuto il consiglio, e fu pregato ad ottenere dal sovrano la conferma di quanto si era risoluto, per la quale fu spedito in Napoli il barone Lanza, sindaco della città, cui furono accordati mille scudi per equipaggiarsi, e per sollecitare la grazia.
Approvò il re il consiglio per la colletta sulle aperture (2486); ma volle che si formasse una deputazione, la quale invigilasse alla esazione della medesima, e che la detta colletta non si pagasse da’ soli padroni delle case, altrimenti il peso non sarebbe stato equabile, ma che la metà stesse a carico del proprietario, che affitta la casa, e la metà del conduttore. Capo di essa giunta, o deputazione fu eletto il vicerè marchese Fogliani, e dieci furono gli eletti deputati, cioè lo arcivescovo di Palermo, il giudice della monarchia, il pretore, il presidente della gran corte, il consultore, e il sindaco della città, che si trovassero in queste cariche, e inoltre quattro nobili, giusta i diversi ceti, cioè il principe di Aragona per i militari, il principe della Trabia per i baroni del regno, il duca Alliata per i nobili privati, e il cavaliere Giovan Battista Paternò per i legali.
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