Questa prammatica fu comunicata a tutti i notai della capitale, e del regno dal marchese Fogliani con suo dispaccio de’ 25 di febbraio dello stesso anno.
Mostrò in questo anno la sua fermezza il mentovato viceregnante. Era stato condannato a perder la testa sul palco Francesco Carnazza della città di Castrogiovanni, reo (per quel, che portava la fama) di avere ucciso uno ecclesiastico di casa Grimaldi, ch’era insieme suo zio, e suo parroco, perchè si era opposto ad una tresca amorosa, nella quale erasi egli immerso, ed avea fatto colle sue esortazioni ritirare la donna dal peccato. Siccome questo era un cavaliere, e tenea molti congionti fra nobili palermitani, così molti furono i mezzi adoprati dal ceto suo, per fargli scanzare la morte, ed essendo riuscite vane tutte le pratiche, fu indotto finalmente il superiore della compagnia de’ bianchi a chiederlo in grazia per l’anno vegnente, giusta il privilegio, che ha questa confraternità, di liberare nella settimana santa un colpevole dalla forca. Tutto cospirava a favor del Carnazza; i giudici sembravano disposti a consigliarne la liberazione; i nobili non lasciavano di pregarne S.E., le dame gli assordavano le orecchie, facendogli replicate premure, perchè non si vedesse un nobile sotto la mannaia, del che non vi era da tanto tempo esempio (2488). Lo stesso [625] confessore del vicerè parlava a favore del reo, e il superiore della compagnia de’ bianchi chiedea la grazia solita accordarsi alla medesima. Erano questi tanti stimoli nel cuore del marchese Fogliani, cavaliere umano, e compiacente, per concederla, ma la sua umanità, e la sua dolcezza cessavano, qualora si apportava la menoma offesa alle sante leggi della giustizia.
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