Questo spettacolo non durò, che poche ore, giacchè, temendosi qualche tumulto, fu dato subito ordine, che si levassero i cadaveri da quel luogo, e si seppellissero. Per togliere poi interamente ogni occasione di nuova commozione, avea prima promulgato Mr. arcivescovo uno editto, ch’era stato affisso nel dì 20 di ottobre, con cui, sotto la pena della disgrazia di sua maestà, vietò a qualunque persona di ogni ceto, e di ogni condizione di poter più parlare, nè nelle pubbliche piazze, nè ne’ teatri, nè nelle caffetterie, nè nelle chiese, conventi, o altri luoghi, nè nelle proprie case ancora, de’ passati inconvenienti, nè di cercarne i motivi, nè riflettere sopra di essi, nè finalmente di comporre canzoni, sonetti, satire, o leggerle, intorno agli accaduti tumulti, promettendo il guiderdone di once cinquanta a’ denunziatori.
Mentre in Palermo si purgava la città dai facinorosi, e si gastigavano i rei, il duca Fogliani, che comandava per tutto il resto del regno, fece in Messina la pubblica entrata, prendendo come un novello possesso del viceregnato nel duomo di quella città. Le acclamazioni di quei cittadini, ch’era gran tempo che non aveano memoria, che si fosse fatta questa funzione nella loro patria, furono grandissime, e fu questo ingresso pubblico festeggiato da’ medesimi con diverse dimostrazioni, ch’ei molto gradì, ed accrebbe, facendo fare a sue spese una cuccagna. Non è verisimile, che questo saggio cavaliere avesse dato questo passo, senza il previo consenso del re, il quale volle, ch’ei continuasse per qualche tempo nel viceregnato, sebbene gli abbia vietato di chiamare presso di sè, come è costume, il sacro consiglio, o alcuni ministri di esso; perciò egli sotto li 22 di ottobre accordò il solito triduo (2528), come suol farsi nel caso, che il vicerè è assente, nè seco conduce i tribunali (2529).
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Palermo Fogliani Messina
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