Ne furono escluse le dame, e furono perciò vietati i balli, che lo stato suo ecclesiastico non permetteva.
[647] Sebbene dopo i tumulti si fosse resa una gran quantità di armi, che si erano strappate nel dì 20 di settembre alle truppe, purnondimeno ne mancava ancora qualche porzione, e ciò rincresceva alla real corte di Napoli, cui parea un oltraggio, che le armi regie restassero tuttavia in potere della plebe. Ordinò dunque il re con dispaccio de’ 6 di novembre a Mr. arcivescovo, affinchè le facesse restituire, e questo prelato in virtù del real comando promulgò un’editto, minacciando la pena di dieci anni di galea a coloro, che dopo il termine di due mesi, da correre dalla pubblicazione del suo proclama, non avessero restituite alla truppa in Castellammare le armi, che tenevano conservate, o occultate. Restò eseguito l’ordine di Mr. arcivescovo, e non solamente furono restituite le armi de’ soldati, ma inoltre due cannoni, ch’erano tuttavia in potere degli artigiani. Fu dato conto di tutto alla corte, cui fu anche scritto, ch’essendo già la città tranquilla, si erano tolte le ronde di giorno, e cominciavano a diminuirsi insensibilmente quelle di notte, che faceansi da’ collegi delle arti, per ridursi ogni cosa al primiero stato. Applaudì la corte di Napoli a questi regolamenti, e giunse in Palermo un dispaccio sovrano de’ 21 novembre, che lodava la tenuta condotta (2531).
Finalmente a’ 17 di dicembre arrivò in Palermo il tenente generale conte Giorgio Corafà, colonnello del reggimento degli albanesi, che fu spedito dalla corte col grado di comandante generale proprietario delle armi del regno, carica, che avea finallora goduta il principe di Aci.
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