Prima di cominciarsi il parlamento ricevette egli graziosamente i due senatori, Corradino Romagnuolo, e Giuseppe Carcamo, che per ordine del re, e a nome del senato di Palermo gli erano stati spediti, per implorare dalla di lui magnanimità il perdono alla vil plebe, che si era sollevata ne’ giorni 19 e 20 del settembre antecedente. Volle il sovrano che si onorasse il detto cavaliere con questa pubblica dimostrazione prima di accordare a’ Palermitani il da tanto tempo ricercato indulto. I ridetti senatori adunque, che rappresentavano la città, vestiti in toga, e accompagnati dalla nobiltà, e dal ministero palermitano, che trovavasi in Cefalù, si presentarono a S.E. e con una umile, e rispettosa allocuzione, nella quale rifondeano gli eccessi allora accaduti nella vile plebaglia, implorarono la sua bontà, affinchè si dimenticasse del passato, e fosse egli stesso avvocato al trono reale, per ottenere ai delinquenti, e alla capitale quel perdono, che si era tante volte richiesto. Graziosa, e toccante fu la risposta del marchese Fogliani, il quale dichiarò che dal primo momento di quella sollevazione, e degli strazî, che in essa ricevette, avea perdonato sinceramente a’ rei, e pregato avea prima Dio, e poi il clementissimo monarca a condonare loro gli errori, ne’ quali caduti erano. Protestò che dopo questa disavventura il suo amore verso la sana parte degli ottimi cittadini, e verso la sua diletta città di Palermo, lungi dallo scemare, erasi anzi accresciuto, e promise che si sarebbe efficacemente cooperato presso il re per indurlo a dimenticare le colpe de’ malcontenti, e ad accordare a’ medesimi la desiata indulgenza.
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