– Avrete sentito parlar di lei, immagino.
Mia madre rispose che aveva avuto quel piacere, pur con la triste consapevolezza di far trasparire che non era stato un gran piacere.
– Sono lei in persona – disse la signora Betsey. Mia madre chinò la testa, e la pregò di accomodarsi.
Entrarono nel salotto, donde mia madre era uscita, giacché nella sala grande all’altra estremità del corridoio non ardeva il fuoco, e dal giorno dei funerali di mio padre non v’era stato più acceso; e quando furono tutte e due sedute, e la signora Betsey non diceva sillaba, mia madre, dopo aver tentato inutilmente di frenarsi, cominciò a piangere.
– Sss, sss, sss! – disse la signora Betsey in fretta. – Ma che c’entra ora? Su, su!
Pure mia madre non poté reggersi, e continuò a piangere finché non si fu sfogata.
– Togliti il cappello, bambina, che non sei altro – disse la signora Betsey; – e lascia che ti guardi.
Mia madre aveva tanto timore di lei che non avrebbe potuto rifiutarsi di compiacerla, anche se avesse voluto. Perciò fece ciò che le era stato detto, e con mani così tremanti che la capigliatura (che era abbondantissima e bella) le si sparse intorno intorno al volto.
– Ah, che Iddio ti benedica! – esclamò la signora Betsey. – Tu sei veramente una bambina.
Mia madre era, certo, all’aspetto, molto giovane anche per gli anni che aveva: curvò la testa, come se fosse colpa sua, poveretta, e disse, singhiozzando, che davvero temeva di non essere che una vedova dal cervello di bambina, e che sarebbe stata una mamma dal cervello di bambina, se fosse sopravvissuta.
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