Nella breve pausa che seguì, le parve di sentire che la signora Betsey le palpasse i capelli con mano carezzevole; ma come la guardò in viso con timida speranza, vide la signora seduta, con l’orlo della veste rimboccato, le mani piegate su un ginocchio, e i piedi sull’alare, fissare accigliata il fuoco.
– In nome del cielo – disse improvvisamente la signora Betsey – perché «Piano delle Cornacchie»?
– Intendete la casa, signora? – chiese mia madre.
– Perché «Piano delle Cornacchie»? – ripeté la signora Betsey. – «Allodole allo Spiedo» sarebbe stato più adatto, se aveste avuto qualche idea pratica della vita, tu e lui.
– Il nome lo scelse mio marito – rispose mia madre. – Quando comprò la casa, gli piacque d’immaginare che qui vi fossero delle cornacchie.
Il vento della sera strepitava tanto in quel momento fra i vecchi olmi in fondo al giardino, che mia madre e la signora Betsey guardarono entrambe verso quel punto. Gli olmi si piegavano l’uno verso l’altro, come giganti che si bisbigliassero dei segreti, e, dopo pochi secondi di riposo, si agitavano con tanta violenza, con una convulsione così frenetica di braccia, come per malvage confidenze che li sconvolgessero, che i vetusti rimasugli di nidi di cornacchie sospesi ai loro rami più alti oscillavano e turbinavano come frammenti di un naufragio in un mare tempestoso.
– Dove sono gli uccelli? – chiese la signora Betsey.
– Che cosa? ... – Mia madre s’era distratta un poco.
– Le cornacchie... dove sono? – chiese la signora Betsey.
– Non ve ne sono mai state, da quando siamo venuti qui – disse mia madre.
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