– Ma sì, che ti farà bene – disse la signora Betsey. – Semplice immaginazione. Come la chiami la ragazza?
– E chi sa se sarà una ragazza? – disse ingenuamente mia madre.
– Benedetta chi ha da nascere! – esclamò la signora Betsey, citando inconsapevolmente la frase scritta con gli spilli sul cuscinetto in un cassetto del canterano al di sopra. – Non parlavo della bambina, ma della fantesca.
– Peggotty – disse mia madre.
– Peggotty! – ripeté la signora Betsey, indignata. – È mai possibile che una creatura umana sia entrata in una chiesa cristiana per farsi dare il nome di Peggotty?
– È il cognome – disse mia madre con un filo di voce. – Mio marito la chiamava così, perché si chiama Clara come me.
– Peggotty! – gridò la signora Betsey, spalancando la porta del salotto. – Porta il tè. La tua padrona si sente male. Sbrigati.
Dato quest’ordine con la stessa energia e la stessa autorità di chi in quella casa, fin dalla sua costruzione, avesse supremo e indiscusso comando, e data un’occhiata nel corridoio per vedervi uscire, al suono della voce estranea, Peggotty meravigliata con una candela in mano, la signora Betsey richiuse la porta, e andò a sedersi nello stesso atteggiamento di prima: i piedi sull’alare, l’orlo della veste rimboccato, e le mani congiunte su un ginocchio.
– Stavi dicendo che dovrebbe essere una bambina – disse la signora Betsey. – Non mi contraddire. Dal momento della nascita di questa bambina, io intendo di esser la sua protettrice. Intendo di tenerla a battesimo, e ti prego di chiamarla Betsey Trotwood Copperfield.
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