Nei cinque minuti all’incirca che il signor Chillip dedicò a questo discorso, mia zia lo tenne selvaggiamente di mira.
– E lei come sta? – disse mia zia, piegando le braccia, e tenendo il cappellino ancora sospeso al polso sinistro.
– Bene, signora, tra poco lei starà bene, spero – rispose il signor Chillip. – Sta come non si potrebbe desiderar meglio per una giovane madre in queste melanconiche circostanze domestiche. Non c’è più alcuna ragione di rimanervene qui, signora. Andate a vederla. Può farle bene.
– E «lei»? Come sta «lei»? – disse mia zia, rigida.
Il signor Chillip sporse la testa un po’ più di lato, e guardò mia zia con l’atto d’un grazioso uccello.
– La bambina – disse mia zia: – come sta la bambina?
– Signora – rispose il signor Chillip – credevo che lo sapeste. È un maschio.
Mia zia non disse una parola, ma prese per i nastri il cappellino, a guisa d’una fionda, ne mirò un colpo alla fronte del signor Chillip, se lo mise ammaccato in testa, uscì dal salotto e non si vide più. Svanì come una fata malcontenta; o come uno di quegli esseri soprannaturali che il vicinato credeva io fossi destinato a vedere: e non apparve mai più. No, non apparve mai più. Io giacevo nella mia culla, e mia madre nel suo letto; ma Betsey Trotwood Copperfield era rimasta per sempre nel paese dei sogni e delle ombre, in quella formidabile regione dove io avevo poco prima viaggiato; e la luce che illuminava la finestra della nostra camera splendeva sulla meta terrestre dei viaggiatori miei pari e sul poggetto che copriva le ceneri di colui senza il quale non sarei mai stato.
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