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Ecco il nostro banco in chiesa. Che schienale alto! Sta accanto a una finestra donde si vede casa nostra. Durante il servizio del mattino, Peggotty leva gli occhi per accertarsi se non venga scassinata dai ladri o se non pigli fuoco. Ma benché il suo sguardo vaghi di qua e di là, Peggotty s’irrita se il mio fa lo stesso, e mi fissa accigliata sul banco, per farmi intendere che non debbo perder d’occhio il ministro. Ma non posso sempre guardar lui – lo conosco senza quella cosa bianca addosso, e temo ch’egli mi domandi perché io lo guardi così fisso, e che possa interrompere a un tratto il servizio per dirmelo; – e che debbo fare? So che sta male sbadigliare, ma debbo pur fare qualche cosa. Guardo mia madre, la quale finge di non vedermi. Fisso per un istante un ragazzo nella navata, ed egli mi fa le boccacce. Guardo il raggio di sole che giunge alla porta attraverso il portico, e vi scorgo una pecorella smarrita – non un peccatore, ma proprio un individuo del genere ovino – la quale par stia deliberando lì lì d’entrare in chiesa. Comprendo che se continuassi a guardarla ancora, sarei tentato di dir qualche cosa ad alta voce, e allora che ne sarebbe di me? Guardo le lapidi sepolcrali sul muro e tento di figurarmi il parrocchiano defunto signor Bodger, che era stato ammalato a lungo, e i sentimenti della signora Bodger quando s’aggravò e i medici accorsero invano al capezzale del morente. Chi sa se non venne chiamato anche il dottor Chillip, che non valse a nulla; e se fu chiamato, chi sa se è contento di ricordarsene una volta la settimana.
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