Il mio sguardo lascia il signor Chillip, che sfoggia una bella cravatta domenicale, e si posa sul pergamo; e penso che bel posto sarebbe:per giocarvi, e che bel castello rappresenterebbe, se per la scaletta venisse ad assaltarlo un altro ragazzo, al quale potessi scagliare in testa il guanciale di velluto rosso coi fiocchi d’oro! Intanto gli occhi a poco a poco mi si chiudono, e, dopo aver provato la sensazione di udir nell’afa un canto sonnolento del ministro, casco dal banco con un tonfo, e son portato fuori, più morto che vivo, nelle braccia di Peggotty.
Ed ora veggo la facciata di casa nostra con le finestre della camera da letto spalancate per lasciar entrare l’aria dolcemente fragrante, e ancora sospesi agli olmi in fondo al giardino sul davanti gli sbrindellati vecchi nidi di cornacchie. Ora sono nel giardino di dietro – oltre il cortiletto dalla colombaia e dal canile vuoti – ed è una vera riserva di farfalle, come io lo ricordo, con una siepe alta, e un cancello e un prato erboso; dove i frutti gremiscon gli alberi, più maturi e più belli di quanti altri mai ne vidi poi in qualunque altro giardino, e dove mia madre ne riempie un paniere, mentre io le sto da presso, ingollando uvaspina, e cercando di darmi un’aria innocente. Un gran vento si leva, e l’estate in un momento è passata. Nel crepuscolo invernale noi ci divertiamo a ballare nel salotto. Quando mia madre non ha più fiato e si riposa in una poltrona, la veggo che s’avvolge i riccioli intorno alle dita e si raddrizza sulla vita, e nessuno sa meglio di me ch’ella è lieta del suo bell’aspetto e orgogliosa della sua leggiadria.
| |
Chillip Peggotty
|