Da parte mia, almeno; perché era dubbio se anche da parte di Peggotty, che nel frattempo se ne rimaneva con aria distratta e vaga a giocherellar con la punta dell’ago, applicandosela in varie parti del viso e sulle braccia.
Spacciati i coccodrilli, stavamo cominciando con gli alligatori, quando sonò il campanello dei giardino. Andammo alla porta, ed ecco presentarsi mia madre, più leggiadra del solito, mi parve, e accanto a lei un signore con bei capelli e favoriti neri, che s’era accompagnato con noi dalla chiesa la domenica precedente.
Mentre mia madre si chinava sulla soglia per prendermi in braccio e baciarmi, quel signore osservò che io ero un piccino con più privilegi d’un monarca – o qualche cosa della stessa specie, se non erro, perché qui m’accorgo che mi viene in aiuto l’intelligenza degli anni posteriori.
– Che significa? – gli chiesi, di sulla spalla di mia madre.
Egli mi carezzò i capelli; ma ad ogni modo la sua voce cupa non mi garbava, e mal tolleravo che la sua mano, toccando me, toccasse quella di mia madre – come faceva. L’allontanai come meglio potei.
– Oh, Davy! – protestò mia madre.
– Caro piccino! – disse il signore – non mi meraviglia la sua devozione.
Non avevo mai visto un così bel colorito sul viso di mia madre. Ella gentilmente mi riprese per la mia sgarberia; e, tenendomi stretto al suo scialle, si volse a ringraziare il signore, che s’era preso l’incomodo di accompagnarla fino a casa. Gli porse la mano mentre parlava, e incontrando quella di lui, mi saettò, mi parve, un’occhiata.
| |
Peggotty Davy
|