– Diciamoci «buona sera», mio bel piccino – disse il signore quand’ebbe chinato la testa, lo vedevo bene io, sul piccolo guanto di mia madre.
– Buona sera – dissi.
– Orsù, siamo d’ora in poi buoni amici – disse il signore, ridendo.
– Stringiamoci la mano.
Avevo la mano destra nella sinistra di mia madre; così gli porsi l’altra.
– Ma non quella, Davy! – esclamò ridendo il signore.
Mia madre mi prese la destra, ma io ero deciso, per la stessa ragione di prima, di non dargliela, e non gliela diedi. Gli porsi l’altra, ed egli la strinse affettuosamente, e se n’andò dicendo che ero un bravo piccino.
In questo istante lo riveggo girare intorno al giardino e scoccarci un ultimo sguardo dai suoi sinistri occhi neri, prima che la porta si chiudesse.
Peggotty, che non aveva detto una parola e non aveva fatto un gesto, mise immediatamente il catenaccio, e ce n’andammo tutti nel salotto. Mia madre, contro il suo solito, invece di occupar la poltrona accanto al fuoco, se ne rimase all’altra estremità della stanza, seduta a canticchiare sottovoce.
– Spero che stasera vi siate divertita, signora – disse Peggotty, standosene rigida e ferma come una statua nel centro della stanza, con un candeliere in mano.
– Grazie, Peggotty – rispose allegramente mia madre. – Ho passato una sera veramente allegra.
– Un forestiero è sempre un’allegra distrazione – suggerì Peggotty.
– Veramente... – rispose mia madre.
Peggotty continuava a rimaner immota in mezzo alla stanza; mia madre riprese a canterellare, ed io fui vinto dal sonno, ma da un sonno che se non mi lasciava intendere ciò che si diceva, mi faceva udir le voci.
| |
Davy Peggotty Peggotty Peggotty
|