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      Quando mi destai da quel sonno, trovai che Peggotty e mia madre piangevano e si bisticciavano.
      – Ma non uno così; al signor Copperfield non sarebbe piaciuto – diceva Peggotty. – Ne sono certa, e potrei giurarlo.
      – Santo Cielo! – gridava mia madre. – Tu mi vuoi far diventar matta. Qual altra povera ragazza mai è stata come me maltrattata dalle sue persone di servizio? Perché mi faccio l’ingiustizia di dirmi ragazza? Non sono stata forse maritata, Peggotty?
      – Dio lo sa se è vero, signora – rispose Peggotty.
      – Allora come puoi aver l’ardire – disse mia madre – tu sai che io non intendo dire come puoi aver l’ardire, Peggotty, ma come puoi avere il cuore... di maltrattarmi così, e di dirmi tante brutte cose, quando sai che non ho, fuori di qui, un solo amico a cui rivolgermi?
      – Una ragione di più – rispose Peggotty – per dire che non va. No! Non può essere. No! Non si può fare a nessun costo. No! – Io temevo che Peggotty stesse per scagliare lontano il candeliere, con tanta energia l’agitava.
      – Come puoi essere così crudele – diceva mia madre, versando più lagrime di prima – da parlare con tanta ingiustizia? Come puoi continuare a ragionare come se tutto fosse bell’e stabilito, Peggotty, quando ti dico e ti ripeto, cattiva che non sei altro, che non c’è stato nulla più delle solite cortesie fra conoscenti? Tu parli di ammirazione. Che vuoi che faccia? Se la gente è così sciocca da farsi trasportare dall’ammirazione, è colpa mia? Che vuoi che faccia, ti dico? Debbo radermi la testa o annerirmi la faccia, o sfigurarmi con una scottatura, o con qualche cosa di simile?


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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