Credo che tu così vorresti, Peggotty. Credo che ne saresti soddisfatta.
Pareva che Peggotty fosse scossa da questa calunnia.
– E caro tesoro mio – gridò mia madre, dirigendosi alla poltrona dove io ero rannicchiato, per carezzarmi – mio caro piccolo Davy! Mi si deve dire che non voglio bene al mio caro tesoro, il più caro piccino del mondo!
– Nessuno v’ha mai detto una cosa simile – disse Peggotty.
– L’hai detta tu, Peggotty – ribatté mia madre. – Sai che l’hai detta tu. Che altro è possibile concludere da ciò che hai detto, sgarbataccia, quando sai meglio di me che soltanto per lui il trimestre scorso non mi son comprata un ombrellino nuovo, e che quello verde è già tutto sfilacciato ed ha la frangia logora? Lo sai che è così, Peggotty, non puoi negarlo!
Poi, volgendosi affettuosamente a me, con la guancia contro la mia:
– Sono una cattiva mamma, io, Davy? Sono una cattiva, una brutta, una crudele, un’egoistica mamma, io? Di’ che lo sono, figlio mio; di’ «sì», tesoro mio, e Peggotty ti vorrà bene; e il bene di Peggotty è molto migliore del mio, Davy. Non ti voglio niente bene io, non è vero?
A questo scoppiammo a piangere tutti insieme. Credo che io piangessi più forte di tutti, ma son certo che nel pianto eravamo tutti e tre sinceri. Ero profondamente straziato, e, se non erro, nel primo trasporto della tenerezza ferita, dissi «bestia» a Peggotty.
Quell’onesta creatura era, ricordo bene, molto angosciata, e in quell’occasione dové rimanere assolutamente senza bottoni; poiché s’intese una piccola fucileria di quegli esplosivi, quando, dopo aver fatta la pace con mia madre, s’inginocchiò accanto alla poltrona per far la pace con me.
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