Ricordo che Peggotty ed io li osservammo dalla finestrina della mia cameretta; ricordo con quanta attenzione pareva stessero esaminando la siepe che li separava, nella loro passeggiata; e come, dall’essere d’umore perfettamente angelico, Peggotty s’inasprisse improvvisamente, e mi spazzolasse i capelli contro verso, con eccessiva energia.
Il signor Murdstone e io fummo presto lungi, trotterellando sull’erba d’un lato della strada. Egli mi teneva leggermente con un braccio, e non credo ch’io fossi d’umore irrequieto; ma non potevo assuefarmi all’idea di sedergli dinanzi senza sentire il bisogno di voltar la testa e guardarlo in faccia. Egli aveva quella specie di occhio nero e cavo – vorrei una parola migliore per descrivere un occhio che non ha una profondità nella quale guardare – che, quando è distratto, sembra venga improvvisamente sfigurato, a volte, da un’ombra di strabismo. Spesso, mirandolo, osservai quell’espressione con un certo timore e mi domandai a che cosa egli pensasse con tanta intensità. Veduti da vicino, i suoi capelli e i suoi favoriti erano più neri di quanto avessi immaginato. La quadratura delle mascelle e la traccia punteggiata della barba, forte e nera, che egli si radeva accuratamente ogni giorno, mi ricordavano il personaggio di cera che era stato portato in giro dalle nostre parti circa sei mesi prima. Le sue ciglia regolari e lo splendido bianco e il nero e il bruno del suo colorito – maledetti, il suo colorito e la sua memoria! – me lo facevan parere, nonostante la mia diffidenza, bellissimo.
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Peggotty Peggotty Murdstone
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