– Non ne ho paura come intendi tu – disse l’Emilietta. – Ma mi sveglio quando brontola, e tremo pensando a zio Daniele e a Cam, e mi pare di sentirli chiamare aiuto. Ecco perché mi piacerebbe d’essere una signora. Ma non ne ho paura come intendi tu. Ma che! Guarda qui.
Si staccò dal mio fianco, e corse lungo un’asse frastagliata che si sporgeva dal posto ove eravamo e stava a picco da una certa altezza sull’acqua profonda, senza un riparo pur che fosse. La scena m’è così fissa in mente, che se fossi un disegnatore potrei ritrarla esattamente come mi si presentò quel giorno, con l’Emilietta in corsa verso la morte (come mi apparve) con uno sguardo che non ho più dimenticato, fisso sul mare lontano.
La snella, ardita, guizzante personcina si voltò e tornò indietro sana e salva: e io subito risi del mio sgomento e del grido che m’era sfuggito; inutilmente a ogni modo, perché non si vedeva anima viva in quei pressi. Ma, nella mia virilità, molte volte da quel giorno, molte volte ho pensato: «È possibile, fra le possibilità delle cose occulte, che nella improvvisa temerità della fanciulla e nel suo selvaggio sguardo fisso sul mare lontano, vi fosse una pietosa attrazione di lei nel pericolo, forse il desiderio del padre defunto che la vita di lei corresse il rischio di finire quel giorno?» D’allora molte volte mi son domandato: «Se il destino di lei mi fosse stato rivelato a un’occhiata, e rivelato in modo che un bambino avesse potuto comprenderlo, e se la sua salvezza fosse dovuta dipendere dal cenno della mia mano, l’avrei io salvata?
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