Eravamo soliti per ore ed ore di vagare affettuosamente insieme per quella triste pianura di Yarmouth. I giorni si divertivano con noi, come se lo stesso tempo non fosse cresciuto, ma fosse ancora un fanciullo occupato a trastullarsi di continuo. Io dissi ad Emilia che l’adoravo, e che se non avesse confessato anche lei che m’adorava, io mi sarei ridotto nella triste necessità di uccidermi con una spada. Ella disse che lo confessava, e io non ne ebbi il minimo dubbio.
Nell’Emilietta e in me, che non vedevamo l’avvenire, non sorse neanche per un istante il sentimento della disparità delle nostre condizioni, della nostra estrema giovinezza, o d’altre difficoltà sulla nostra via. Non pensavamo a diventar più grandi, più di quanto avessimo pensato a diventar ragazzi. E intanto formavamo l’ammirazione della signora Gummidge e di Peggotty, che eran solite di bisbigliarsi la sera, quando ci stringevamo affettuosamente, a fianco l’un dell’altro, sul nostro baule: «Signore Iddio, non son belli?» Il pescatore Peggotty ci sorrideva di dietro la pipa, e Cam sorrideva con un sogghigno in tutta la serata. Essi provavano alla nostra vista lo stesso piacere che avrebbero avuto a guardare un bel balocco o una riproduzione tascabile del Colosseo.
M’avvidi subito che la signora Gummidge non sempre si sforzava di rendersi gradita in misura adeguata alle circostanze della sua coabitazione col pescatore Peggotty. Di umore piuttosto depresso e deprimente, si lagnava a volte più di quanto potesse essere sopportato dagli altri in una casa così angusta.
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