– È abbastanza per farmi impazzire – gridò mia madre. – Finanche nella mia luna di miele, quando perfino il mio più crudele nemico, credo, si intenerirebbe, e non m’invidierebbe un po’ di pace di spirito e di felicità! Davy, sei cattivo! Peggotty, tu sei senza cuore. Oh, poveretta me! – piangeva mia madre, volgendosi dall’uno all’altra, stizzosa e ostinata. – In che triste mondo mi trovo, proprio quando avrei più diritto di vederlo migliore.
Sentii il tocco d’una mano, che m’accorsi non era né quella sua, né quella di Peggotty, e scivolai fino ai piedi del letto. Era quella del signor Murdstone, che me la tenne sul braccio, mentre diceva:
– Che significa tutto questo? Clara, amor mio, te lo sei dimenticato?... Fermezza, cara mia.
– Sono molto rattristata, Edoardo – disse mia madre. – Volevo essere ragionevole, ma sono così sconvolta!
– Davvero! – egli riprese. – Che mi fai sentire! Così presto, Clara!
– È doloroso sentirsi così proprio ora – rispose mia madre piagnucolando; – sì, è doloroso!
Egli l’attrasse a sé, le bisbigliò qualche cosa nell’orecchio e la baciò. Compresi benissimo, quando vidi la testa di mia madre chinarsi sulla spalla di lui, e il braccio di lei toccargli il collo, compresi benissimo che egli poteva piegar la tenue natura di lei in quella forma che voleva, perfettamente come lo so ora.
– Vai da basso, amor mio – disse il signor Murdstone. – Davide e io verremo giù insieme. Cara mia – e fece una ciera oscura a Peggotty, dopo che mia madre se ne fu andata dalla camera, e l’ebbe congedata con un cenno e con un sorriso – conoscete il nome della vostra padrona?
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