In tutto lo strepito che noi facevamo, udii il rumore d’una corsa sulle scale, e piangere – sentii mia madre piangere, e Peggotty. Poi egli se ne andò; e la porta fu chiusa dal di fuori, e io, ardente e febbrile, e lacero, e tristo e miserabilmente rabbioso, ero disteso sul pavimento.
Quando m’acchetai, mi parve, ricordo, che in tutta la casa regnasse una strana calma. Ricordo benissimo come mi sentii malvagio, quando il bruciore e la collera cominciarono a raffreddarsi.
Stetti a lungo in ascolto, ma non sentii nulla. Mi levai su, e mi vidi nello specchio con la faccia così gonfia, rossa e brutta, che quasi feci paura a me stesso. I colpi erano stati duri e dolorosi, e mi facevano di nuovo piangere a ogni movimento; ma non erano nulla in confronto della coscienza della mia colpa, che mi gravava sul petto come se fossi stato, oso dire, il più feroce delinquente.
S’era cominciato a far scuro, e aveva chiuso la finestra (ero stato, la maggior parte del tempo, allungato con la testa sul davanzale, a volta a volta piangendo, sonnecchiando, guardando distrattamente fuori), quando fu girata la chiave ed entrò la signorina Murdstone con un po’ di pane e di carne e del latte. Mise tutto sul tavolino senza far motto, fissandomi intanto con fermezza esemplare, e si ritirò chiudendo di nuovo la porta.
Per parecchio tempo, dopo ch’era già buio, me ne stetti così, domandandomi se sarebbe venuto qualche altro. Quando la cosa non mi sembrò più probabile per quella sera, mi spogliai e mi misi a letto; e, coricato, cominciai a domandarmi atterrito che ne sarebbe stato di me.
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Peggotty Murdstone
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