Andai a tentoni alla porta, e appressando le labbra al buco, bisbigliai:
– Sei tu, cara Peggotty?
– Sì, mio caro Davy – essa rispose. – Sii silenzioso come un topolino; se no, la gatta ci sentirà.
Compresi che la gatta era la signorina Murdstone; e che si trattava d’un caso estremamente delicato, perché la camera di costei era vicinissima alla mia.
– Come sta la mamma, cara Peggotty? È molto in collera con me?
Udii Peggotty piangere dolcemente dall’altro lato del buco, mentre io tacevo lo stesso dal lato mio, prima che mi rispondesse: «No, non molto».
– Che faranno di me, mia cara Peggotty?Lo sai?
– In convitto. Vicino a Londra – fu la risposta di Peggotty. Fui costretto a fargliela ripetere, perché avendomi parlato contro la gola, io avevo dimenticato di toglier la bocca e applicar l’orecchio al buco; le sue parole mi avevano solleticato molto, ma non le avevo udite.
– Quando, Peggotty?
– Domani.
– Perciò la signorina Murdstone ha tolto i vestiti e la biancheria dai miei cassetti? – cosa che essa aveva fatto, ma che io ho dimenticato di ricordare.
– Sì – disse Peggotty. – Nella mattinata.
Poi Peggotty adattò la bocca al buco della serratura e pronunziò le seguenti parole con un sentimento e una serietà ignoti forse fino allora, non mi perito d’asserire, a un buco di serratura usato come mezzo di comunicazione: scagliandovi ogni piccola frase con uno scoppio particolare.
– Caro Davy. Se non ho potuto comunicar con te. In questi giorni, com’era mio solito. Non è stato perché non ti volessi bene.
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