– Fin dove? – chiese il vetturale.
– Fin là – io dissi.
– Dove fin là? – chiese il vetturale.
– Vicino a Londra – io dissi.
– Allora questo cavallo – disse il vetturale, dando una scossa alle redini come per mostrarmelo – prima d’aver fatto metà della strada, sarebbe più morto d’un pezzo di maiale arrosto.
– Allora vieni soltanto fino a Yarmouth? – gli domandai. .
– Ora ci siamo – disse il vetturale. – Là ti consegnerò alla diligenza, e la diligenza ti porterà a... dov’è.
Siccome questo per il vetturale, che aveva nome Barkis, rappresentava già un lungo discorso, perché, come ho già osservato in un precedente capitolo, egli era di carattere flemmatico e per nulla affatto loquace – gli offersi una ciambella come un segno di attenzione. Egli se la mangiò in un boccone, esattamente come un elefante, e sulla sua grossa faccia non ne apparve indizio, appunto come sarebbe avvenuto con un elefante.
– Le fa lei? – disse Barkis, sempre chinato in avanti, pesantemente, con le braccia sulle ginocchia.
– Vuoi dire Peggotty?
– Ah! – disse Barkis. – Lei.
– Sì. Lei fa tutti i dolci a casa e tutta la cucina.
– Lei?
Atteggiò la bocca come per dar la stura a una fischiatina, ma non fischiò. Stette a lungo fissando le orecchie del cavallo, come se non le avesse mai viste; e rimase così per un bel pezzo. Poi mi disse:
– Nessun amoretto, immagino.
– Amaretto hai detto? – Perché credevo che volesse altro da mangiare, e avesse segnatamente alluso a quella particolare specie di dolce.
– Amoretto – disse Barkis – amoretto!
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