Non solo me li portò immediatamente, ma fu tanto buono da legger la lettera mentre la scrivevo. Quando l’ebbi finita, mi chiese a quale istituto fossi diretto.
Dissi «Vicino a Londra», che era tutto ciò che sapevo.
– Oh, veramente! – disse con tono d’abbattimento. – Me ne dispiace molto.
– Perché? – gli chiesi.
– Oh, signore! – disse, scotendo il capo. – È l’istituto dove ruppero le costole d’un ragazzo... due costole... d’un ragazzino. Mi pare che avesse... aspettate... quanti anni avete voi, presso a poco?
Gli dissi fra gli otto e i nove.
– Appunto otto o nove anni – disse. – Aveva otto anni e sei mesi quando gli ruppero la prima costola; otto anni e otto mesi quando gli ruppero la seconda, e fu spacciato.
Non potei nascondere né a me, né al cameriere l’impressione di quel caso doloroso, e gli chiesi in che modo gliele avessero rotte. La sua risposta non mi rallegrò molto, perché consisteva di due terribili parole: «A nerbate».
Il suono della cornetta della diligenza nel cortile fu una opportuna diversione. Mi levai da tavola e chiesi con esitazione, col sentimento, misto d’orgoglio e di diffidenza, di essere in possesso d’un borsellino (l’avevo tratto di tasca), se vi fosse qualche cosa da pagare.
– Un foglio di carta da lettere – egli rispose. – Avete mai comprato un foglio di carta da lettere?
Non potevo ricordare d’averlo mai fatto.
– È caro – egli disse – per il dazio. Sei soldi. Questo paese è pieno di balzelli. E non c’è altro, tranne la mancia. Non contate l’inchiostro. Ce lo rimetto io di tasca mia.
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Londra Avete
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