Se mai dubitai di lui, credo che per un po’ vi contribuisse quel suo atteggiamento; ma son tratto a credere che con la semplice fiducia d’un fanciullo e la naturale buona fede d’un fanciullo negli adulti (qualità che non vorrei che i fanciulli cambiassero prematuramente con la saggezza del mondo), non ebbi una vera e propria diffidenza di lui, neanche allora.
Ma mi fu duro, debbo confessarlo, esser diventato, senza alcuna ragione, soggetto dei motteggi del cocchiere e del conduttore, i quali, perché io ero in un posto di dietro, dicevano che da quella parte la carrozza era troppo carica, e che mi sarebbe stato più conveniente viaggiare per carro completo. Sparsasi fra i passeggeri la storiella del mio straordinario appetito, s’ingegnarono tutti a divertirsi alle mie spalle; e mi chiesero se in convitto avrei dovuto pagare la retta in ragione di due fratelli o tre; se mi fossero state accordate condizioni particolari; e mi fecero simili altre piacevoli domande. Ma il peggio si era, che se mi si fosse offerta l’occasione di mangiare, mi sarei vergognato di farmi veder toccar cibo, e che, dopo un pasto piuttosto leggero, dovevo rimanermene con la fame tutta la notte – perché nella fretta avevo abbandonato le mie ciambelle all’albergo. Quando ci fermammo per la cena, non ebbi il coraggio di toccar nulla, con tutta la fame che sentivo, e me ne stetti accanto al fuoco affermando di non voler nulla. Neppur questo mi salvò dagli scherzi; perché un signore dalla voce rauca e dalla faccia rude, che per tutto il viaggio non aveva fatto che mangiare in continuazione panini gravidi, di cui aveva una scatola piena, quando non aveva bevuto lunghe sorsate da una sua bottiglia, osservò che io somigliavo al serpente boa, che faceva provvista di cibo per molto tempo; dopo di che egli subito si portò alla bocca una grossa fetta di manzo arrosto.
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