– Di grazia, signore – dissi, quando fummo giunti forse alla stessa distanza di prima – è lontano?
– È dalla parte di Blackheath – disse.
– E Blackheath è lontano, signore? – domandai timidamente.
– C’è un bel tratto – disse. – Andremo con la diligenza. Son circa sei miglia.
Ero così debole e stanco, che l’idea di durare ancora per sei miglia senza rifocillarmi mi parve impossibile. Mi feci animo di dire che non avevo toccato cibo in tutta la sera, e che gli sarei stato molto obbligato, se mi avesse permesso di comprarmi qualche cosa da mangiare. Si sorprese di questo – lo veggo fermarsi improvvisamente e guardarmi – e, dopo avermi considerato per alcuni istanti, disse che voleva visitare una vecchietta che abitava non lungi di là, e che mi consigliava di comprare del pane, o qualche altra cosa che mi piacesse di sano. Poi avrei fatto colazione in casa della vecchietta, che ci avrebbe potuto dare un po’ di latte.
Allora mi fermai innanzi alla vetrina di un fornaio, e dopo che io ebbi fatto un gran numero di proteste successive di comprare tutto ciò che di meglio presentava la bottega, ci decidemmo in favore d’un bel pane bruno, che mi costò sei soldi. Poi, nel negozio di un magazzino alimentare, comprai un uovo e una fetta di lardo; cosa che mi fece avere tanti spiccioli di resto dal secondo dei miei scellini lucenti, che giudicai Londra una città molto a buon mercato. Fatte le nostre provviste, arrivammo, in mezzo a un gran fracasso che m’assordò tutto e mi fece male alla testa, su un ponte che certamente era il London Bridge (credo che egli me lo dicesse, ma ero quasi addormentato), e poi all’abitazione della vecchietta, che faceva parte d’un asilo di carità, come si vedeva bene all’aspetto e all’iscrizione di una lapide sull’ingresso, la quale lo diceva fondato per venticinque donne povere.
| |
Blackheath Blackheath Andremo Londra London Bridge
|