L’insegnante di Salem House sollevò il saliscendi di uno fra parecchi usciolini neri, tutti simili, con un finestrino a piccoli vetri da un lato e un altro finestrino a piccoli vetri al di sopra; ed entrammo nella casetta di una di quelle povere vecchie. Ella era occupata a soffiare nel fuoco per far bollire una casseruolina. Vedendo entrare l’insegnante, si fermò col soffietto sulle ginocchia, e mormorò qualcosa che mi parve sonasse come: «Carletto mio!»; ma vedendo entrare anche me, si levò, e stropicciandosi le mani fece confusamente l’atto di un inchino.
– Potete preparare un po’ di colazione a questo signorino, per favore? – disse l’insegnante di Salem House.
– Se posso... – disse la vecchia. – Sì, che posso.
– Come sta oggi la signora Fibbitson? – disse l’insegnante, volgendo lo sguardo a un’altra vecchia in un seggiolone accanto al fuoco, la quale formava un tal fagotto di panni, che anche ora non so come non fossi andato per errore a sedermele addosso.
– Ah, non si sente bene – disse la prima vecchia. – È in uno dei suoi brutti giorni. Se per disgrazia oggi dovesse spegnersi il fuoco, credo veramente che si spegnerebbe anche lei, e non si ravviverebbe più.
Giacché essi si misero a guardarla, mi misi a guardarla anch’io. Sebbene il giorno fosse caldo, sembrava ch’ella non pensasse ad altro che al fuoco. Sospettai che fosse gelosa perfino della casseruola; e ho ragione di credere che la guardasse di malocchio perché mi faceva fervidamente il servigio di scaldarmi l’uovo e di cuocermi il lardo; tanto vero, che durante quelle preparazioni culinarie, in un momento che nessuno l’osservava, la vidi, con mia gran meraviglia, minacciarmi col pugno.
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