Il flauto non si sente più, si sente invece il rumore della diligenza, e sono ancora in viaggio. La diligenza sobbalza, mi sveglio con un salto, e ritorna il flauto, e ritorna l’insegnante di Salem House che, seduto con le gambe incrociate, malinconicamente suona, mentre la vecchia di quella casa guarda incantata. Anche lei si dilegua, e lui si dilegua, e tutto si dilegua, e non v’è più flauto, né insegnante, né Salem House, né Davide Copperfield, né altro di diverso da un sonno profondo.
Mi parve di sognare che la vecchia della casa a un tratto si fosse avvicinata, spirante d’estetica ammirazione, al lugubre sonatore di flauto, e appoggiandosi alla sedia, gli avesse dato un affettuoso abbraccio, che lo aveva interrotto per un istante. Ero fra il sonno e la veglia, o nel momento che segue quella fase media; perché quando egli si rimise a sonare – l’interruzione era un fatto reale – vidi e udii la stessa vecchia domandare alla signora Fibbitson se non fosse delizioso (alludendo al suono del flauto), e la signora Fibbitson rispondere: «Ah, sì, sì!» e accennare al fuoco, dandogli, credo, l’onore di tutta quella musica.
Quando gli parve che avessi dormito abbastanza, l’insegnante di Salem House scompose il flauto in tre pezzi, se li mise in tasca come prima, e mi condusse fuori. Nelle vicinanze trovammo la diligenza, e salimmo sull’imperiale; ma io ero così assonnato, che quando per strada ci fermammo per prender qualcun altro, fui messo al di dentro ove non c’erano passeggeri, e ove mi addormentai profondamente, sin che non m’accorsi che la diligenza saliva al passo una ripida collina, tutta verdeggiante.
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