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      Se mi vedeva appoggiato contro un albero, o contro un muro o l’edificio della scuola, tonava dal suo stambugio, con una voce formidabile in cui c’era il senso dell’autorità: «Ehi, signorino! Mettete bene in mostra il cartello, o vi farò rapporto». La palestra di ricreazione era un cortile nudo, sparso di ghiaia, situato dietro l’edificio e in vista dei locali di servizio; e io sapevo che i domestici leggevano il cartello, e il macellaio lo leggeva, e il fornaio lo leggeva; che quanti, insomma, avevano occasione d’uscire e di entrare e di aggirarsi là dentro la mattina, allorché mi si ordinava di andarvi a prender aria, leggevano che dovevano guardarsi da me, perché mordevo. Ricordo che cominciai ad aver paura di me stesso, come d’una specie di ragazzo feroce che mordeva.
      V’era in quella palestra una porta vecchia sulla quale i ragazzi usavano d’intagliare i loro nomi. Era coperta completamente di firme. Nella mia paura della fine delle vacanze e del ritorno degli allievi, non potevo leggere il nome d’un ragazzo, senza domandarmi in che tono e con quale enfasi egli avrebbe letto: «Guardatevene. Morde». Uno – certo G. Steerforth – aveva inciso il proprio nome frequentemente e profondamente, e quegli, immaginavo, avrebbe letto il cartello con voce tonante, e dopo m’avrebbe tirato i capelli. Un altro, certo Tommaso Traddles, m’avrebbe indubbiamente preso in giro, e avrebbe fatto le viste d’avere una terribile paura di me. Un terzo, Giorgio Dempre, forse l’avrebbe messo in musica.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





Steerforth Tommaso Traddles Giorgio Dempre