Poi si facevano altri compiti fino all’ora del tè, che il signor Mell beveva in una tazza azzurra e io in una ciotola di stagno. Durante tutto il giorno, e fino alle sette e alle otto della sera, il signor Mell lavorava continuamente al suo tavolino con penna, inchiostro, riga, libri e carta da scrivere, facendo i conti, come poi scopersi, dell’ultimo semestre. Quando aveva messo tutto in regola per quella sera, cavava il flauto, e si metteva a sonare, e con tanta insistenza che credevo volesse trasfondervisi gradatamente con tutto il suo essere, e uscirne per il gran buco dell’estremità, e fluir dolcemente per le chiavi.
Mi riveggo ancora piccino nelle stanze scarsamente illuminate seder con la testa in mano ad ascoltare, nell’atto di mandare a memoria le lezioni, le melanconiche sonate del signor Mell. Mi riveggo coi libri chiusi, sempre in ascolto delle melanconiche sonate del signor Mell. A traverso quelle note odo, triste e solo, i rumori di casa mia e il soffio dei venti sulla pianura di Yarmouth. Mi riveggo andare a letto, in quelle camere estranee, e seder contro i guanciali, in attesa d’una parola di consolazione dalla bocca di Peggotty. Mi riveggo, scendendo giù la mattina, guardare, a traverso l’orrida bocca d’una finestra della scala, la campana della scuola sospesa sotto una tettoia sormontata da una banderuola in forma di gallo; e tremare pensando al giorno che essa avrebbe chiamato alle lezioni G. Steerforth e gli altri. Ma temo anche più il giorno in cui l’uomo dalla gamba di legno aprirà il cancello rugginoso per lasciar passare il terribile signor Creakle.
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