Miserabili piccole vittime d’un idolo spietato, quanta servilità gli mostravamo! Che inizio della vita, a ripensarci ora, l’esser così bassi e vili verso un uomo di tali istinti e tanta presunzione!
Ecco seggo al mio tavolinetto, fissandolo negli occhi – umilmente fissandolo negli occhi – mentre è occupato a rigare un quaderno d’aritmetica per un’altra vittima, che è stata battuta sulle mani dalla stessa bacchetta, e che tenta di attenuarne il bruciore con un fazzoletto. Ho molto da fare, e non cerco gli occhi di lui per distrazione, ma perché ne sono morbosamente attratto, nell’ansia paurosa di sapere che cosa farà dopo, e se sarà la mia volta di soffrire, o sarà la volta di un altro. Una fila di fanciulli accanto a me lo guarda con la stessa fissità. Io credo ch’egli lo sappia, benché finga di non vedere. Atteggia la bocca a terribili smorfie mentre continua a rigare il quaderno d’aritmetica; ed ecco dà un’occhiata obliqua alla nostra fila, e tutti chiniamo la testa sui libri e tremiamo. Un momento dopo di nuovo lo guardiamo tutti. Un infelice accusato, reo convinto d’un compito sbagliato, gli s’avvicina ad un cenno. L’accusato balbetta delle scuse, e si dichiara determinato a far meglio il giorno appresso. Il signor Creakle dice, prima di batterlo, una facezia, e noi ne ridiamo – ne ridiamo, noi piccoli miserabili, con le facce più bianche della cenere, e i cuori nelle calcagna.
Eccomi di nuovo al tavolino in un afoso pomeriggio estivo. Un vasto ronzio mi circonda, come se i ragazzi fossero tanti mosconi.
| |
Creakle
|