La contentezza e la soddisfazione dei ragazzi li aveva resi stranamente indocili; e benché il temuto Tungay apparisse due o tre volte con la sua gamba di legno e annotasse i nomi dei principali colpevoli, la cosa non fece molta impressione: tutti sapevano che, ben disciplinati o no, la mattina dopo sarebbero stati castigati lo stesso; tanto valeva darsi buon tempo oggi.
S’era di sabato, ed era mezza vacanza. Ma siccome il chiasso nella palestra avrebbe disturbato il signor Creakle e il tempo non era propizio a una passeggiata, nel pomeriggio fummo mandati in classe e occupati in compiti più facili dei soliti, preparati per l’occasione. Era il giorno in cui il signor Sharp andava a farsi arricciare la parrucca; così il signor Mell, al quale erano sempre affidati i lavori più penosi, quali che si fossero, dirigeva solo la scuola.
Se l’immagine d’un toro o d’un orso potesse riferirsi a un uomo della mitezza del signor Mell, direi, ripensando all’infernale fracasso della scolaresca in quel pomeriggio, che egli mi faceva appunto l’effetto d’uno di quegli animali circondato da un migliaio di cani. Lo riveggo poggiare la testa dolente alla mano ossuta sul libro che aveva davanti sul tavolino, penosamente sforzandosi di continuare l’ingrata fatica, fra mezzo a un pandemonio che avrebbe dato la vertigine al Presidente della Camera dei Comuni. Molti saltavano entro e fuori dei loro posti; alcuni ridevano, altri cantavano, altri chiacchieravano, altri ballavano, altri urlavano; altri pestavano i piedi, e altri gli turbinavano intorno, digrignando i denti, facendo smorfie, contraffacendolo dietro le spalle e innanzi agli occhi; contraffacendo la sua povertà, le sue scarpe, l’abito, la madre, tutto ciò che gli apparteneva, senza rispetto alcuno.
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