In principio non vidi nessuno; ma sentendo una pressione contro la porta, guardai di fuori, e vidi, con mia grande meraviglia, il pescatore Peggotty e Cam, che col cappello in mano mi facevano dei profondi inchini e si spingevan l’un l’altro contro la parete. Non potei fare a meno dal ridere; ma più per il piacere di vederli che per lo spettacolo che m’offrivano. Ci stringemmo le mani con molta cordialità; e risi e risi, finché cavai di tasca il fazzoletto e m’asciugai gli occhi.
Il pescatore Peggotty (che, ricordo, non chiuse mai la bocca una volta durante la visita), si mostrò molto preoccupato quando mi vide in quell’atto e urtò col gomito Cam perché dicesse qualche cosa,
– Allegro, signorino Davy – disse Cam nella sua ingenuità. – Come siete diventato grande!
– Sono diventato grande? – dissi, asciugandomi gli occhi. Non piangevo per nessun motivo particolare, che io mi sapessi; ma mi faceva piangere, a ogni modo, il rivedere dei vecchi amici.
– Grande, caro signorino Davy! Sì che siete diventato grande! – disse Cam.
– Sì che siete diventato grande! – disse il pescatore Peggotty.
Mi fecero di nuovo ridere col ridere l’un dell’altro, e poi tutti e tre ridemmo a rischio di farmi piangere di nuovo.
– Sapete come sta la mamma, signor Peggotty? – io dissi. – E come sta la mia cara, cara Peggotty?
– Benissimo – disse il pescatore Peggotty.
– E l’Emilietta, e la signora Gummidge?
– Be... nissimo – disse il pescatore Peggotty. Vi fu un istante di silenzio. Per romperlo, il pescatore Peggotty cavò dalle tasche due aragoste colossali, e un enorme granchio, e un grosso sacco di gamberi, e li ammucchiò sulle braccia di Cam.
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