– Tu stai molto bene, Barkis – dissi, credendo che gli facesse piacere sentirselo dire.
Barkis si fregò la guancia con una manica, e poi si guardò la manica, come se s’aspettasse di le tracce della sua salute in fiore; ma non diede altro segno d’aver capito il complimento.
– Il tuo messaggio io lo mandai, Barkis – dissi – e scrissi a Peggotty.
– Ah! – disse Barkis.
Barkis pareva di cattivo umore, e dava delle risposte secche.
– Non andava bene, Barkis? – chiesi, dopo un po’ d’esitazione.
– Ebbene, no – disse Barkis.
– Il messaggio non è andato bene?
– Il messaggio è andato abbastanza bene, forse – disse Barkis; – ma poi è finito così.
Non comprendendo ciò che intendeva, ripetei per avere una spiegazione:
– Come, finito così?
– Non è venuto nulla – mi disse, guardandomi di sbieco. – Nessuna risposta.
– Si aspettava una risposta, dunque? – domandai, aprendo gli occhi, perché vedevo il messaggio sotto una nuova luce.
– Quando uno dice che ha intenzione – disse Barkis, volgendo lo sguardo lentamente verso di me – è più che naturale che s’aspetti una risposta.
– Ebbene, Barkis?
– Ebbene – disse Barkis, riportando gli sguardi sulle orecchie del cavallo – d’allora son sempre stato in attesa d’una risposta.
– E tu glielo hai detto, Barkis?
– N... no – borbottò Barkis in aria meditabonda. – Io non sono andato a dirglielo. Non le ho detto mai neppure due parole. Non sono andato a dirglielo.
– Barkis, vuoi che glielo dica io? – domandai, timidamente.
– Se non ti dispiace, potresti dirle – disse Barkis, con un altro sguardo grave – che Barkis è in attesa d’una risposta.
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