Dicesti... si chiama?
– Il suo nome?
– Ah! – disse Barkis con un cenno della testa.
– Peggotty.
– Il nome di battesimo? O il nome di famiglia?
– Oh, non è il suo nome di battesimo. Il suo nome di battesimo è Clara.
– Veramente? – disse Barkis.
Parve trovare in questo particolare materia immensa di meditazione, e se ne stette pensoso a fischiettare fra sé per qualche tempo.
– Ebbene – ripigliò finalmente. – Tu le dici: «Peggotty! Barkis aspetta una risposta». Dice lei, forse: «Risposta a che?» Tu le dici: «A ciò che ti dissi». «Che cosa?» dice lei. «Barkis ha intenzione», tu dici.
Barkis accompagnò con una gomitata, che mi fece dolere il fianco, questo elaboratissimo suggerimento. Dopo di che si chinò verso il cavallo nella sua maniera solita; e non fece più alcuna allusione all’argomento, tranne, mezz’ora dopo, col cavare di tasca un pezzo di gesso, e scrivere nell’interno del copertone del carro! «Clara Peggotty», probabilmente come un’annotazione riservata.
Ah, lo strano sentimento che provavo durante il mio ritorno a casa, che non era più casa mia, nel veder ogni oggetto che incontravo ricordarmi l’antica felice dimora, un sogno che non potevo risognare mai più. Il tempo in cui io, mia madre e Peggotty non eravamo che un’anima sola, e non c’era nessuno a inframmettersi tra noi, si levava così tristemente innanzi a me sulla strada, che non so se fossi contento di trovarmi colà – e non pensassi che forse sarebbe stato meglio rimanermene lontano, e dimenticar tutto in compagnia di Steerforth.
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