Tremai senza saper precisamente perché, e continuai a guardarla intento, non tentando neppur di risponderle.
– Perché – ella disse – mi rincresce di dirti che ho saputo stamane che la mamma sta molto male.
Una nebbia si levò fra la signora Creakle e me, e la sua persona sembrò che si agitasse in quel velo aereo per un istante. Poi sentii delle lagrime cocenti solcarmi la faccia, e la signora stette di nuovo ferma.
– È malata gravemente – aggiunse. In quell’istante seppi tutto.
– È morta.
Non era necessario dirmelo. Avevo già cacciato un grido di desolazione, e mi sentivo orfano nel mondo vasto.
Ella fu con me gentilissima. Mi tenne con lei tutto il giorno, e in qualche momento mi lasciò solo, e io piangevo tanto da assopirmi, e mi svegliavo per piangere di nuovo. Quando non potei piangere più, cominciai a pensare; e allora l’oppressione al petto mi si fece più grave, e il dolore divenne un’angoscia cupa, per la quale non c’era consolazione.
E pure il mio pensiero s’era fiaccato: non più intento alla sventura che mi pesava sul cuore, s’indugiava pigramente a fantasticare. Pensavo alla casa chiusa e silenziosa. Pensavo al bambino, che, come m’aveva detto la signora Creakle, da qualche tempo languiva, e che si credeva dovesse morire anche lui. Pensavo alla tomba di mio padre nel cimitero accanto a casa nostra, e a mia madre seduta sotto l’albero che m’era così noto. Salivo su una sedia, quando rimanevo solo, per vedere nello specchio come mi fossero diventati rossi gli occhi, e come mi si fosse fatto triste il viso.
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Creakle Creakle
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