– chiesi.
Omer scosse il capo.
– Rat... tat-tat, rat... tat-tat, rat... tat-tat.
– È nelle braccia di sua madre – egli disse.
– Oh, poverino! È morto?
– Non vi rattristate più del necessario – disse Omer. – Sì, il bambino è morto.
Le mie ferite si riaprirono di nuovo a questo annunzio. Lasciai la colazione appena assaggiata, e andai in un angolo della stanzetta a poggiar la testa su un altro tavolino, che Minnie s’affrettò a sbarazzare delle gramaglie sparsevi, per tema che le bagnassi delle mie lagrime. Era una buona ragazza, e con atto delicato e soave mi allontanò i capelli dagli occhi; ma era contenta d’aver quasi finito il lavoro, e di poter fare a tempo; ed appariva così diversa da me.
A un tratto il ritmo del martello cessò, e dal cortile entrò nella stanza un giovane di simpatico aspetto. Aveva il martello in mano, e la bocca piena di chiodi, che dové togliersi prima di poter parlare.
– Bene, Joram! – disse Omer. – A che ne siamo?
– Tutto è pronto – disse Joram. – Ho finito.
Minnie s’accese un poco in viso, e le altre due ragazze si sorrisero a vicenda.
– Ah, allora avete lavorato col lume ieri sera mentre io ero al circolo! Non è così? – disse Omer, chiudendo un occhio.
– Sì – disse Joram. – Siccome m’avete detto che se l’avessi finito, avremmo potuto fare quella passeggiata insieme, Minnie e io... e voi.
– Ah, m’è parso che stavate per lasciarmi da parte! – disse Omer, ridendo e tossendo.
– Siccome m’avevate detto così – ripigliò il giovane – mi ci misi con gran buona volontà. Volete vedere se va bene?
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