Il signor Chillip è nella stanza, e mi viene incontro per parlarmi.
– E come sta il signorino Davide? – egli mi dice con tono di bontà.
Non posso rispondergli benissimo, e gli do la mano, ch’egli trattiene nella sua.
– Ohimè – dice il signor Chillip, con un sorriso dolce e con un che di lucente negli sguardi. – I nostri piccoli amici diventano grandi. Non si riconoscono più, signorina.
S’è rivolto alla signorina Murdstone, che non risponde.
– Qui, signorina, noto dei grandi mutamenti – dice il signor Chillip.
La signorina Murdstone risponde con un semplice aggrottamento di sopracciglia e un freddo inchino; il signor Chillip, deluso, si rifugia in un angolo, conducendomi con lui, e non apre più bocca.
Osservo questo, perché osservo tutto ciò che avviene, non perché mi curi, o mi sia curato minimamente di me, dal momento del mio ritorno. E ora la campana comincia a sonare, Omer e un altro entrano per gli ultimi preparativi. Come Peggotty era solita dirmi, tempo fa, quelli che avevano accompagnato mio padre alla stessa tomba s’erano avviati dalla stessa sala.
C’è il signor Murdstone, il nostro vicino Grayper, il signor Chillip e io. Quando usciamo all’aperto, i portatori e il loro carico sono nel giardino; e si muovono prima di noi giù per il sentiero, oltre gli olmi e oltre il cancello, fino al cimitero, dove spesso avevo sentito cantare gli uccelli le mattine d’estate.
Ci fermammo intorno alla tomba. Il giorno mi appare diverso dagli altri, e non dello stesso colore – di un colore più triste.
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