Ora v’è un silenzio solenne; l’abbiamo portato da casa con ciò che riposa nel feretro; e mentre stiamo a capo scoperto, odo la voce del pastore sonar remota, benché distinta e chiara, nell’aria aperta: «Io sono la Risurrezione e la Vita, dice il Signore!». Poi odo dei singhiozzi e veggo, in disparte fra gli spettatori, la buona e fedele domestica, alla quale fra quanta gente è al mondo io voglio bene di più, e alla quale il Signore dirà un giorno, il mio cuore infantile n’è sicuro: «Tu hai bene operato».
In quella piccola folla vi sono molti visi che conosco; visi che avevo conosciuti in chiesa, quando il mio girava intorno i suoi sguardi curiosi, visi che erano stati i primi a salutar mia madre, quando era arrivata al villaggio nel fiore della sua giovinezza. Non mi occupo di essi – non m’occupo che del mio dolore – e pure li veggo e li riconosco tutti, e anche Minnie, che è in fondo, e che lancia delle occhiate al suo fidanzato, che si trova al mio fianco.
La cerimonia è finita, e la terra è colmata, e c’incamminiamo per il ritorno. Davanti ci sta la casa, così graziosa e immutata, e così legata nel mio spirito all’idea di ciò che non è più, che tutta la mia angoscia precedente non sembra più nulla in confronto di quella che ora mi assale. Ma mi si compiange; e il dottor Chillip mi parla; e quando arriviamo a casa, mi dà un sorso d’acqua; e quando mi congedo da lui per andarmene in camera mia, mi saluta con una gentilezza quasi femminile.
Tutto questo, dico, è un evento di ieri.
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Risurrezione Vita Minnie Chillip
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