Varie volte, rammento, riflettei al caso ch’io non dovessi più studiare ed esser lasciato a me stesso; e di crescere e diventare un triste fannullone destinato ad aggirarsi ozioso per il villaggio; come anche pensai alla possibilità di togliermi da questa prospettiva con l’andare, come l’eroe d’un romanzo, in qualche parte a cercar fortuna; ma non erano che visioni, sogni ad occhi aperti che a volte seguivo, nella solitudine della mia cameretta, come se fossero dipinti o scritti, in modo appena visibile, sulla parete, per poi dileguarsi e lasciarla di nuovo nuda.
Peggotty – dissi pensoso una sera, mentre mi scaldavo le mani al fuoco della cucina – il signor Murdstone mi vuol molto meno bene di prima. Non mi volle mai molto bene, Peggotty; ma ora, se potesse, farebbe volentieri a meno di vedermi.
– Forse è per il dolore – disse Peggotty, carezzandomi i capelli.
– Credo, Peggotty, d’essere afflitto anch’io. Se fosse così, non direi nulla. Ma non è così; oh, no, non è così!
– Come sai che non è così? – disse Peggotty, dopo un minuto di silenzio.
– Oh, il suo dolore è una cosa molto diversa! Egli in questo momento è afflitto, e se ne sta accanto al fuoco con la signorina Murdstone; ma se ci andassi io, Peggotty, mostrerebbe non la sua afflizione, ma qualche altra cosa.
– Che cosa? – disse Peggotty.
– Stizza – risposi, imitando involontariamente, il suo caratteristico aggrottamento di ciglia. – Se fosse addolorato soltanto, non mi guarderebbe come mi guarda. Io, che sono soltanto addolorato, mi sento più buono.
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