Ricordo, come il vento e l’acqua cominciarono a rumoreggiar più piano al mio orecchio, di aver inserito una breve clausola nelle mie preghiere, e d’aver chiesto che potessi crescere per sposare l’Emilietta; dopo di che m’addormentai pieno d’amore.
I giorni passavano quasi alla stessa guisa di prima, eccetto – era una grande eccezione – che di rado ora vagavo sulla spiaggia con l’Emilietta, la quale aveva delle lezioni da imparare, del cucito da fare, ed era assente la maggior parte del giorno. Ma sentivo che se non fosse stato così, non mi sarebbe stato possibile di godere ora con lei le antiche scorribande. Selvaggia e piena di capricci infantili com’era, Emilia si mostrava più donnina di quanto avessi immaginato. In poco più di un anno sembrava si fosse molto allontanata da me. Mi voleva bene, ma mi derideva, e mi tormentava, e se le andavo incontro, tornava a casa di nascosto per un’altra via, e rideva sulla soglia di gusto vedendomi tornare indietro deluso. I migliori momenti erano quelli in cui si sedeva cheta al lavoro sulla porta e io, accoccolato sugli scalini di legno ai suoi piedi, le leggevo qualche cosa. Sembrava a me ora di non aver mai veduto tanta luce di sole come in quei radiosi pomeriggi d’aprile; di non aver mai veduto una figurina più fulgida di quella che m’ero abituato a vedere seduta sulla soglia del vecchio battello; di non aver mai più veduto un cielo simile, un’acqua simile, e simili bastimenti gloriosi veleggianti in un’aria d’oro.
La prima sera dopo il nostro arrivo, apparve Barkis, in una condizione visibilmente distratta e inconsistente, e con un mucchietto di arance legate in un fazzoletto.
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Emilietta Emilietta Emilia Barkis
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