Veramente, tutti più o meno ci divertivamo, tranne quella signora Gummidge, il fidanzamento della quale pareva si fosse svolto esattamente nelle stesse condizioni, perché lo spettacolo di Barkis e Peggotty la costringeva a ricordare continuamente il «vecchio».
Finalmente, quando fu quasi spirato il termine della mia visita, fu progettato che Peggotty e Barkis dovessero fare una scampagnata d’un giorno insieme, e che l’Emilietta ed io dovessimo accompagnarli. Dormii d’un sonno interrotto la notte, in attesa del piacere di stare un giorno intero con l’Emilietta. Fummo tutti in piedi per tempo la mattina, e mentre eravamo ancora a colazione, Barkis apparve in lontananza guidando il carro verso l’oggetto dei suoi desideri.
Peggotty era vestita come al solito, in un lutto modesto e semplice; ma Barkis luceva d’un nuovo abito turchino, tagliatogli dal sarto con tanta abbondanza, che le maniche avrebbero reso inutili i guanti nell’inverno più rigido, e con un bavero così alto che gli teneva ritti i capelli sul cranio. I bottoni lucenti erano pure enormi. Completato nell’abbigliamento da un paio di calzoni di panno color caffè e da una sottoveste color camoscio, Barkis era un fenomeno di dignità. Fuori, nell’affaccendamento della partenza, vidi il pescatore Peggotty con in mano una scarpa vecchia, che doveva esserci gettata dietro come un augurio di buona fortuna. Ed egli la offerse alla signora Gummidge perché compiesse il rito.
– No. È meglio che la getti un altro, Daniele – disse la signora Gummidge.
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