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      Mi sentii veramente superbo d’essere lasciato solo nella casa solitaria, come protettore di Emilia e della signora Gummidge. Avrei voluto soltanto che un leone o un serpente, o quale che si fosse terribile mostro ci avesse assaliti, per poterlo distruggere e coprirmi di gloria. Ma siccome nulla di simile s’aggirò quella notte per la spiaggia di Yarmouth, vi supplii come meglio mi fu possibile, sognando draghi fino alla mattina.
      Con la mattina venne Peggotty, che mi chiamò come il solito, di sotto la finestra; come se Barkis il vetturale fosse stato anche lui un sogno dal principio alla fine. Dopo colazione, mi condusse a casa sua, che era veramente una bella casettina. Fra tutti i mobili che conteneva, mi fece una grande impressione uno di legno scuro nel salotto (la cucina col pavimento di mattoni serviva generalmente anche da salotto) con un coperchio ingegnoso, che, abbassandosi, diventava una specie di scrivania sulla quale era un gran volume in quarto del Libro dei Martiri di Foxe. Lo scopersi immediatamente e immediatamente m’immersi in quell’opera preziosa, di cui non ricordo una parola. E non entrai mai in quella casa dopo, senza inginocchiarmi su una sedia, aprire lo scrigno che custodiva quella gemma, allargare le braccia sullo scrittoio, e mettermi a divorare di nuovo il libro. Temo che fossi principalmente edificato dalle figure, che erano numerose, e rappresentavano ogni specie di orrori; ma d’allora i Martiri e la casa di Peggotty furono, e sono ancora, inseparabili nel mio spirito.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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