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      L’orologio del magazzino segnalava le dodici e mezzo, e tutti si preparavano per andar a desinare, quando il signor Quinion picchiò al finestrino, e mi fece cenno di andar da lui. Entrai, e mi trovai di fronte a un uomo di media età, tarchiato, in soprabito bruno, con le scarpe nere e calzoni neri attillatissimi, con non più capelli in testa (che era grande e lucidissima) di quanti ne abbia un uovo, e con la faccia assai larga che volse tutta su di me. Aveva gli abiti frusti, ma il solino era solenne. Portava certa mazza elegante, con un paio di grossi fiocchi gualciti, e un occhialetto che gli pendeva dal soprabito – per eleganza, come seppi dopo, perché di rado lo usava, e quando l’usava, non poteva vederci nulla.
      – Eccolo – disse il signor Quinion, accennando a me.
      – Questi – disse l’estraneo, con un certo strascico di condiscendenza nel tono, e una certa aria indescrivibile di compier qualche cosa di grande, che mi fece molta impressione – è il signorino Copperfield. Come state, signor mio?
      Dissi che stavo benissimo, sperando lo stesso di lui. Sapeva il Cielo come stavo; ma non essendo nel mio carattere allora di lamentarmi molto, dissi che stavo benissimo come speravo di lui.
      – Sì – disse lo sconosciuto – grazie al Cielo, benissimo. Ho ricevuto una lettera dal signor Murdstone, che mi domanda di ricevervi in un salotto attiguo alla mia dimora, attualmente vuoto ... e che sarà, insomma, appigionato come... insomma – egli aggiunse con un sorriso e uno slancio di fiducia – ... come camera da letto.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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