– Se i creditori di mio marito non gli daranno del tempo – disse la signora Micawber – dovranno subirne le conseguenze; e più presto sarà, meglio sarà. Non si può cavar sangue da una pietra; né si può aver nessun acconto da mio marito, per non dir nulla delle spese di giustizia che ci vorranno.
Veramente non so se la mia indipendenza precoce illudesse la signora Micawber sul conto della mia età, o se fosse così piena dell’argomento che ne avrebbe parlato persino ai gemelli, se non avesse trovato altri con cui discorrerne; ma cominciò con questa antifona e con essa seguitò tutto il tempo che stetti con lei.
Povera signora Micawber! Mi disse che aveva tentato anche lei di darsi da fare; e certamente, aveva tentato. Il centro dell’uscio di strada era completamente coperto da una lastra d’ottone, sulla quale era inciso: «Istituto pensione per signorine della signora Micawber»: ma non seppi che si fosse mai presentata a quella scuola qualche signorina, o che si presentasse mai, o che si proponesse mai di presentarsi; o che nell’Istituto si fosse fatta la minima preparazione per riceverla. I soli visitatori, dei quali seppi o udii, erano creditori. Arrivavano a tutte le ore, e alcuni erano assolutamente feroci. Certo tipo dalla faccia sporca, credo fosse un calzolaio, solleva piantarsi all’ingresso la mattina prima delle sette, e gridare su al signor Micawber: «Tu non sei ancora uscito, sai! Pagami, su! Non ti nascondere, sai! È una vigliaccheria! Io non sarei vigliacco, se fossi in te!
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