Era caldo che scottava all’ora del mio desinare, del quale molte volte formò l’unico piatto.
Quando desinavo regolarmente e bene, compravo della cervellata e un pane da due soldi, o un piatto di otto soldi di carne da un rosticciere; o un pezzo di pane e cacio e un bicchiere di birra da una povera trattoria di fronte al nostro magazzino, chiamata il Leone, o il Leone e qualche altra cosa che ho dimenticato. Una volta, ricordo di essere entrato, col mio pane sotto il braccio (me l’ero portato di casa la mattina), avvolto in un foglio di carta a mo’ di un libro, in un ristorante di Drury Lane, famoso per il bove alla moda, e d’aver ordinato mezza porzione di quella leccornia per mangiarla col mio pane. Che pensasse il cameriere di quella strana, piccola apparizione entrata lì così soletta, non so; ma lo veggo ancora in questo istante fissarmi mentre mangiavo e convocar l’altro cameriere a godersi lo spettacolo. Lasciai un soldo per lui, e vorrei che non l’avesse accettato.
Mi sembra che avessimo mezz’ora di tempo per il tè. Quando avevo abbastanza denaro, solevo comprare mezza pinta di caffè bell’e fatto e una fetta di pane imburrato. Quando non ne avevo, andavo a guardare una bottega di cacciagione in Fleet Street; o facevo una passeggiata, talvolta fino al mercato di Covent Garden, per contemplare estasiato gli ananassi. Mi piaceva di gironzare intorno all’Adelphi, perché era un luogo misterioso con tutti quegli archi di fronte a un caffeuccio sul fiume, che aveva davanti uno spiazzo dove ballavano alcuni scaricatori di carbone; e per guardarli mi sedetti su una panca.
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