Chi sa che pensarono di me!
Ero così fanciullo, e così minuscolo che quando entravo nella sala di vendita di qualche caffè, per me nuovo, a bere un bicchiere di birra per mandar giù ciò che avevo mangiato a desinare, si esitava a darmelo. Una sera d’afa opprimente, entrai, ricordo nella sala di vendita di un caffè, e dissi al padrone:
– Quanto costa un bicchiere della migliore... ma veramente della migliore birra che avete? – Perché si trattava d’una speciale ricorrenza.
Non so quale. Forse era il mio genetliaco.
– Cinque soldi – disse il padrone – è il prezzo della birra migliore.
– Allora – dissi io, porgendo il denaro – datemene un bicchiere, per piacere, ma con molta spuma, vi raccomando.
In risposta, il padrone mi squadrò, di sul banco, dalla testa ai piedi, e sulla faccia gli apparve uno strano sorriso; e invece d’andare a spillare la birra, guardò oltre il tramezzo, e disse qualche cosa alla moglie, la quale si levò, col suo lavoro in mano, e si mise anche lei a contemplarmi. Veggo ancora la scena. Il padrone in maniche di camicia, che s’appoggia all’apertura del banco; la moglie che guarda di sulla mezza porticina; e io, un po’ confuso, che guardo entrambi dall’altro lato del tramezzo. Essi mi fecero tante domande: come mi chiamassi, quanti anni avessi, dove abitassi, come fossi occupato, e come fossi capitato lì dentro. Alle quali domande, per non comprometter nessuno, diedi, inventandole, credo, appropriate risposte. Mi servirono la birra, ma non credo fosse la migliore; e la moglie del padrone, aprendo la porticina, e chinandosi su di me, mi restituì il denaro, e mi diede un bacio che era mezzo d’ammirazione e mezzo di compassione, e caldo, credo, di molta tenerezza femminile.
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